Il santuario, come è facile comprendere, era il centro della devozione di tutto il popolo napoletano che teneva San Giuseppe come compatrono principale. L'arciconfraternita di S. Giuseppe venne ad assumere col tempo un posto di primo rango tra le istituzioni benefiche cittadine, assistendo ed aiutando gli infermi disoccupati o inabili al lavoro, amministrando annui maritaggi a favore delle figlie povere dei maestri delle arti, dimoranti nel rione S. Giuseppe. Con le rendite dei beni in suo possesso, con l'annuo contributo dei confratelli, con l'obolo dei fedeli, la benemerita istituzione potè compiere un efficacissima ed ininterrotta azione di bene per i bisognosi appartenenti a tutte le classi della città. Numerosi e cospicui legati, lasciti di benefattori l'arricchirono attraverso i secoli e fin dal 1549 venne
debitamente e legalmente riconosciuta dal conte Olivarez, Vicerè di Napoli. Modificata ed ampliata verso la metà del 500, la chiesa di San Giuseppe divenne fin da allora il centro delle piú caratteristiche e gaie manifestazioni della vita cittadina. La prima fiera fu organizzata in quell'epoca ad onore e gloria della Festa del Santo, alla vigilia della primavera, intorno al piccolo tempio si ripetè la gaia consuetudine di edificare baracche colme di giocattoli per la gioia del mondo piccino. Al principio vi corsero tutti i fabbricanti di mobili iscritti all'arciconfraternita. In seguito parteciparono alla fiera tutti i falegnami di Napoli, non solo per celebrare in tal modo la festa del Santo, ma anche per rendere un tributo di omaggio al proprio mestiere.